Ogni tanto penso a quanto siamo dipendenti dall’energia e subito dopo ragiono su quanti sosterrebbero una rivoluzione che, in nome degli ideali contrari allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sull’ambiente, mettesse, com’è inevitabile, in discussione l’attuale sistema energetico. Quanti sarebbero disposti a passare da una società energivora, come quella dei paesi economicamente “sviluppati”, ad una società parsimoniosa dove, per forza o per scelta, si dovesse mettere in discussione l’approvvigionamento energetico così come lo conosciamo. Per chi non fosse sostenuto da radicate convinzioni etiche la paura di dover rinunciare: alla mobilità garantita dagli attuali veicoli a motore, al riscaldamento delle abitazioni, alla lavatrice piuttosto che al frigorifero, o semplicemente all’ascensore (specie per chi abita al sesto piano), potrebbe farsi largo e a quel punto basterebbe inquadrare di sfuggita la chitarra elettrica appoggiata al muro e sentire il ronzio del cellulare che avvisa dell’ultimo sms ricevuto per far diminuire la determinazione al cambiamento. Già, non è facile neppure mettere in discussione la “propria fetta” di energia. Se non siete disposti a perdonare queste banalità che riguardano la sfera degli interessi prioritariamente individuali, che dire dell’energia necessaria alle attività produttive? Un riferimento per tutti: trattori e mietitrebbie funzionano a gasolio e non bisogna dimenticare che il petrolio occupa un ruolo preminente non solo come combustibile ma anche come materia prima nel settore della chimica organica. Voglio essere così provocatoria da ricordarvi che questo articolo lo sto scrivendo al computer e quando sarà concluso arriverà alla redazione via e-mail. Non so quanti di coloro che si occupavano di Umanità Nova negli anni ’70-’80 sentano la nostalgia delle ore passate a battere sui tasti di una “olivetti” gli articoli arrivati in redazione rigorosamente scritti a mano o dettati via telefono, per poi spedirli via fax (esso stesso comunque alimentato dalla corrente elettrica) alla tipografia…..
Per quanto posso rilevare, dalla prospettiva di chi sta nella parte ricca e prevaricatrice del globo, gli stessi diseredati, gli ultimi delle classi sociali subalterne guardano al modello di società energivora come ad un traguardo da raggiungere; risulta perciò chiaro che in una prospettiva di trasformazione radicale dell’organizzazione della società, che non è più quella degli inizi ‘900, non si possa fare a meno di considerare il problema energetico e non solo nei termini delle fonti da utilizzare, delle risorse da gestire, ma anche nei suoi aspetti sociali e culturali.
Mi piacerebbe che si aprisse un confronto, su questi temi, sulle pagine del giornale.
Certamente, su tali questioni, non si può pensare di rimandare le soluzioni all’indomani degli eventi che segnano l’inizio di un cambiamento radicale. La struttura della società è complessa ma dal punto di vista energetico risulta anche molto fragile, come è apparso evidente in occasione dei black out. Comunque, qualora maturassero le condizioni per un mutamento profondo e duraturo sarebbe imperdonabile non avere proposte concrete lasciando a qualcuno la sensazione di essere orfano del capitalismo e della gerarchia.
Il problema energetico si deve affrontare in tutte le sue declinazioni ricercando soluzioni che riguardino le fonti da utilizzare, la loro trasformazione, lo stoccaggio delle riserve, la distribuzione e, non ultima, la riduzione dei consumi. Altrettanto chiaro deve essere che lo spreco di energia si deve evitare sia attraverso il progresso scientifico e tecnologico, sia tramite la diffusione di modelli culturali fondati sul rispetto dell’uomo e dell’ambiente inteso, nel suo complesso, come patrimonio da tutelare a favore delle future generazioni. Lontani da qualsiasi ipotesi di “primitivismo o di ecologia profonda”, crediamo si possa parlare di sviluppo sostenibile riferendoci ad un modello che coniughi il miglioramento sociale, quello economico e quello ambientale nella costante ricerca di un equilibrio tra i lati di questo immaginario triangolo che non può essere che equilatero.
Immaginando una società realmente alternativa a quella in cui viviamo dovremmo far riferimento a fonti energetiche accessibili al maggior numero di individui sia dal punto di vista dell’approvvigionamento che della gestione. Per intenderci la progettazione, costruzione, manutenzione e smaltimento di pannelli solari fotovoltaici o termici è cosa diversa dalla realizzazione e gestione di una centrale nucleare. Con esempi analoghi possiamo comprendere la diversità tra la scelta di centralizzare la produzione di energia, rispetto ad una localizzazione decentrata associata alla differenziazione delle fonti che, se collegate ad una rete distributiva simile a quella Internet (la smart grid), limiterebbero le possibilità di controllo e ricatto. Due aspetti che sono, invece, tipici delle grandi centrali termoelettriche piuttosto che degli oleodotti che attraversano i confini di vari paesi. Sarebbe proprio la molteplicità dei soggetti che immettono e prelevano energia da più punti a ridurre la dipendenza da fonti lontane e da produttori monopolisti una “rete intelligente” che sarebbe in grado di attenuare le conseguenze di guasti ed interruzioni volontarie o accidentali.
E’ chiaro che le grandi concentrazioni di popolazione addensata nelle megalopoli, tendenza prevalente nei più recenti fenomeni di urbanizzazione, rendono molto più instabile il sistema. In una società autogestita non sarebbero solo le problematiche energetiche a condannare tale soluzione che dovrebbe, comunque, essere abbandonata a favore di un più equilibrato rapporto tra “città e campagna”.
Qualcuno potrebbe annoverare quanto ipotizzato fin qui nella categoria delle “solite utopie”? Dissento. Dal punto di vista scientifico e tecnologico l’evoluzione degli ultimi anni è stata abbastanza rapida e potrebbe esserlo ancora di più se le risorse e la ricerca fossero finalizzate esclusivamente al bene comune e non sottoposte alle logiche degli investimenti del capitale.
Per essere più precisi, le nuove frontiere del fotovoltaico nel giro di qualche anno saranno quelle del fotovoltaico organico (OPV, Organic Photovoltaic). In sostanza, si tratta di celle solari di ultima generazione, ispirate al processo di fotosintesi clorofilliana, con una caratteristica struttura a strati: un substrato, costituito da vetro o plastica flessibile, una o più pellicole (contenenti i materiali fotoattivi, semiconduttori) e gli elettrodi conduttivi che separano i semiconduttori. In pratica, la luce solare è assorbita dalle pellicole fotoattive, che generano, così, corrente elettrica.
Si possono descrivere tre differenti tipi:
- Le cosiddette celle Dye Sensitized Solar Cells (DSC) o celle di Grätzel, in cui due vetrini conduttori (separati da biossido di titanio, materiale attivo e soluzione elettrolitica) fanno da elettrodi. In questo caso, il pigmento è sintetizzato attraverso i processi della chimica organica e il titanio è un ingrediente comune ed eco-compatibile (per esempio è presente in dentifrici, vernici idrosolubili per interni e creme solari).
- Celle organiche, dove la parte fotoattiva è totalmente organica (basata su composti del carbonio) o polimerica. In questo caso, le macromolecole organiche sono sì più leggere e meno fragili, ma, allo stesso tempo, hanno vita limitata per via della degradazione dei polimeri una volta esposti al sole. La loro efficienza all’inizio intorno al 4-5 %, è in progressivo incremento.
- Celle ibride organico/inorganico e biologico. Lo strato fotoattivo è, in questo caso, costituito da materiale organico mescolato con materiali inorganici, buoni conduttori di elettroni.
Con questi nuovi tipi di pannelli fotovoltaici si ha un considerevole abbattimento dei costi, grazie a tecniche costruttive particolarmente economiche se confrontate con quelle dei moduli a base di silicio del fotovoltaico tradizionale. Rispetto a questo, inoltre, l’OPV presenta il vantaggio di poter essere utilizzato su aree più vaste e con moduli solari più flessibili, attraverso soluzioni liquide o veri e propri inchiostri, paste e pellicole che permetteranno svariate applicazioni; nulla a che vedere con il dispendio energetico, economico e ambientale derivante dalla liquefazione, dalla cristallizzazione e dal drogaggio del silicio. Il risparmio di materiale rispetto ai metodi tradizionali è di oltre il 90 %, con un’evidente riduzione dell’impatto ambientale.
Per quanto, però, il fotovoltaico organico sia sostanzialmente eco-compatibile, sono necessarie ulteriori ricerche e sperimentazioni che diano stabilità e migliorino le prestazioni delle celle solari organiche tanto in termini di efficienza quanto di durata, ma credo sarà solo questione di tempo.
Le celle organiche, a differenza di quelle contenenti silicio, possono produrre energia anche dalla semplice esposizione alla luce diffusa, infatti, dal 10% di efficienza raggiunta al di sotto dei raggi in ambiente desertico la stessa è balzata al 13% in presenza di un cielo nuvoloso (informazioni da www.fotovoltaicosulweb.it). La scoperta potrebbe rivoluzionare il ruolo del fotovoltaico in tutto il Nord Europa o, comunque, in tutte le aree in cui l’esposizione diretta ai raggi solari non è costante. Inoltre, questa caratteristica, unita alla trasparenza e alla flessibilità dei possibili materiali di supporto: apre innumerevoli prospettive per l’integrazione del fotovoltaico nell’architettura urbana e per la produzione energetica necessaria alle grandi infrastrutture. La leggerezza dei moduli, ad ogni modo, costituisce una caratteristica in grado di garantire l’applicazione su larga scala: i pannelli possono essere installati sui tetti in modo economico, dal momento che non saranno necessari rinforzi per la struttura di supporto, ma anche sulle superfici verticali, sulle carrozzerie dei veicoli, su giacche, borse o altri accessori funzionando, in quest’ultimo caso, come carica batterie di dispositivi elettronici come cellulari, computer portatili e similari.
Diversi sono i centri di ricerca che stanno sviluppando questa tecnologia in Europa è stato finanziato il progetto internazionale FP7 ArtESun. Negli Stati Uniti alla UCLA hanno studiato una struttura nanotecnologica che sarà in grado di accumulare le cariche elettriche per giorni (articolo pubblicato su Science: Photoinduction of long-lived polarons). In Italia esiste dal 2006 un centro di ricerca CHOSE (Polo solare organico della regione Lazio) conosciuto a livello internazionale. Il governo tedesco ha investito 8,2 milioni di euro sul progetto PopUp, che mira a una svolta proprio nel campo del fotovoltaico organico e che ha raccolto 16 milioni di euro di fondi, provenienti, oltre che dal governo federale, dalle società che compongono il consorzio di ricerca, coordinato dal colosso chimico e farmaceutico Merck.
Quindi, si potrebbe, a breve, disporre di una soluzione adeguata ai presupposti indicati in precedenza ma, non possiamo certo attendere che sia il capitalismo a guidare il percorso verso un mondo nuovo visto come è stato in grado di autorigenerarsi ciclicamente. La conclusione solleva, invece, un altro tema che andrebbe seriamente affrontato: quello della ricerca scientifica.
Il fatto che, in questo caso, gli interessi di chi la finanzia possano essere gli stessi di chi vuole costruire una società autogestita da liberi ed eguali non ci può sollevare dalla necessità di considerare, tra le lotte da sostenere, anche quelle per indirizzare la ricerca in un senso piuttosto che in un altro.
MarTa